Tratto da: Kira Stellato “Il dolore e la forza della mente” (2010). Edizioni Red - Milano
LA NEUROPLASTICITA’ : IL CERVELLO CURA SE STESSO
Numerosi scienziati affermano che la scoperta della neuro plasticità (neuro sta per neuroni, le cellule che compongono il cervello e il sistema nervoso dell’uomo; plastico significa modificabile, malleabile, flessibile) rappresenta il più grande progresso medico degli ultimi 400 anni. Per lunghissimo tempo si è creduto, infatti, che il cervello fosse equiparabile ad una macchina incapace di modificarsi dopo i primi tre anni di età. La teoria di un cervello rigidamente costruito condannava inesorabilmente le persone nate con problemi neurologici o mentali, o che avessero subito danni a livello cerebrale, a rimanere invalide per tutta la vita. Oggi, invece sappiamo che il cervello è malleabile e che il nostro sistema nervoso centrale è in grado di adattarsi a situazioni patogene, come nel caso di traumi, modificando la propria struttura. Ecco la ragione per cui è difficile perdere un’abitudine, una volta appresa; è difficile, ad esempio, perdere il proprio accento acquisito nell’infanzia, anche se molti attori riescono a farlo attraverso lezioni di dizione. La plasticità del cervello è chiaramente visibile nei musicisti professionisti che praticano il loro strumento per almeno un’ora al giorno. Uno studio di Gaser e Schlaug ha infatti dimostrato come il volume della loro materia grigia fosse di dimensioni superiori a quello di musicisti amatoriali i quali, a loro volta, possedevano un volume maggiore rispetto a chi non sapeva suonare alcuno strumento musicale.
Come dice lo psicologo Norman Doidge nel suo libro Il Cervello Infinito, il cervello umano è in grado di modificare se stesso. In questi ultimi anni, gli studi nell’ambito delle neuroscienze hanno infatti dimostrato che gli esseri umani non sono necessariamente legati alle abilità mentali che posseggono alla nascita; alcune volte, le cellule cerebrali che muoiono possono essere sostituite, un cervello danneggiato può riorganizzarsi in modo che la parte che ha smesso di funzionare venga sostituita da un’altra e il pensiero, l’apprendimento e l’azione sono in grado di attivare o disattivare i geni, modellando in questo modo sia l’anatomia cerebrale che il nostro comportamento. Questo concetto di neuro plasticità è davvero rivoluzionario, perché le implicazioni derivanti dalla scoperta della flessibilità di questo organo così importante hanno derivazioni molto più estese di quanto si possa pensare. Dal momento infatti che il cervello può cambiare, così anche la natura umana, che trae la propria origine dalla mente, è in grado di modificarsi. Non solo, ma così come il cervello e il pensiero che ne accompagna le sue funzioni può modificare la cultura di una società, anche la cultura può essere responsabile di modifiche di pensiero e comportamento.
Per un tempo davvero assai lungo, la spiegazione medica convenzionale a vari problemi psicologici era che i problemi di queste persone fossero cablati all’interno di un cervello-macchina immutabile; oggi, invece, sappiamo che è possibile modificare i nostri modi di pensare ed i nostri comportamenti sia in positivo che in negativo.
Quando si considera il problema del dolore cronico, possiamo immaginare che si tratti di un caso di neuro plasticità al negativo; la neuro plasticità, infatti, è competitiva, e alcuni processi divengono dominanti rispetto ad altri. In presenza di un trauma, segnali di pericolo vengono inviati dal midollo spinale al cervello; il cervello reagisce producendo dolore che a sua volta attiva il sistema ormonale e immunitario. Il ritmo respiratorio si modifica, il battito cardiaco accelera dando origine a quella che viene definita comunemente la reazione di adattamento allo stress nota col termine di ‘combatti o fuggi’; il nostro organismo si prepara quindi ad affrontare il pericolo oppure a fuggire da esso. Dopo un certo periodo di tempo, però, il sistema entra in un circolo vizioso: più dolore = più meccanismi di protezione, più protezione = più dolore, ecc. ecc. ne consegue che con il protrarsi dell’esperienza dolorosa il cervello inizia a modificare le proprie emozioni e pensieri; e queste modifiche sono in grado di produrre profondi cambiamenti nel nostro comportamento. I cambiamenti all’interno del sistema nervoso centrale conducono allo sviluppo del dolore cronico. Il midollo spinale e il cervello si riorganizzano in modo tale che una parte del cervello diventa dolore.
Il dr. Arne May, neurologo di fama internazionale, afferma che gli studi nell’ambito del dolore cronico confermano l’importanza del ruolo svolto dalla neuro plasticità. Tutti gli studi tranne uno hanno infatti evidenziato alterazioni strutturali in aree cerebrali specifiche correlate al dolore. Queste alterazioni, anche se diverse nelle varie sindromi, coinvolgono gli stessi sistemi funzionali. I dati provenienti da studi diversi indicano quindi che i pazienti affetti da dolore cronico hanno una comune “impronta cerebrale” in aree note per il loro coinvolgimento nel controllo del dolore.
Non si comprende ancora, tuttavia, perché solo pochi individui sviluppino una sindrome di dolore cronico, considerando che il dolore è un’esperienza universale. Dato che il cervello umano adulto è in grado di modificare la propria struttura in reazione a fattori ambientali, ci si chiede se in alcuni esseri umani una differenza strutturale (forse su base genetica) nei sistemi centrali di trasmissione del dolore possa agire come una predisposizione dell’organismo a sviluppare dolore cronico. Considerare il dolore cronico come risultato di “plasticità male-adattata“ va contro il presupposto che la plasticità funzionale in termini di adattamento e recupero della funzione dopo una lesione al sistema nervoso sia necessariamente benefica. Non ci sono dati conclusivi ma la correlazione tra durata del dolore e grado della diminuzione della materia grigia in molti studi suggeriscono che i cambiamenti morfologici siano dovuti al dolore costante. La buona notizia che ci viene dalla neuro plasticità è che i neuroni possiedono la capacità di modificare le loro connessioni e di riorganizzarsi, modificando la forma del sistema nervoso. Infatti, ogni cosa che il sistema nervoso apprende, può a sua volta essere disappresa, poiché il cervello è in grado di modificarsi sia fisicamente che chimicamente.
Una recente ricerca pubblicata sulla rivista Neuron rivela come uno stimolo percepito sotto forma di ricompensa da parte di individui sani, può invece essere elaborato diversamente dalle persone affette da dolore cronico. Il dolore viene normalmente descritto a livello soggettivo, ma può anche essere caratterizzato dalla risposta di tipo comportamentale che provoca, come ad esempio la motivazione a fuggire dal dolore stesso. Nello studio guidato dal dr. Apkarian, i ricercatori hanno scoperto che nei pazienti affetti da patologie croniche, il dolore acuto veniva in qualche modo interpretato come un sollievo dal dolore cronico, mentre i partecipanti sani percepivano come aspettativa di sollievo la mancanza di dolore, evidenziando in questo modo l’esistenza di un processo di apprendimento associativo disfunzionale tra gli individui affetti da dolore cronico.
I principi fondamentali della neuro plasticità
Da quanto abbiamo visto, possiamo dire che il dolore si manifesta come conseguenza al negativo di una neuro plasticità sfuggita al nostro controllo. Tuttavia, così come il cervello è in grado di modificarsi creando una situazione permanente di dolore cronico, nello stesso modo può uscirne. Vediamo insieme i principi fondamentali che guidano il meccanismo della neuro plasticità.
La Neuroplasticità KS |
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