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Pubblicato: 10/02/2016 da



"Fare sport, fa bene al cuore......" di Pier Luigi Temporelli

Pier Luigi Temporelli

Divisione di Cardiologia Riabilitativa

Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS

Istituto Scientifico di Veruno

immagine corsa

“Corro perché è bello, mi rende ottimista, più calmo, meno ansioso, perché riesco a concentrarmi più a lungo nel lavoro e perché ho conquistato un miglior controllo della mia vita”. Così recitava JimmyFixx nel suo best seller “The complete book of running”. Di fatto, già oltre 2000 anni prima lo stesso Ippocrate nel suo “Regime” raccomandava con lungimiranza l’attività fisica: “… Non si può mantenersi in salute basandosi soltanto sul tipo di alimentazione, ma a questa bisogna affiancare anche degli esercizi fisici”. Oggi noi sappiamo, supportati da una ampia evidenza scientifica, che una regolare attività fisica sottomassimale nel contesto di uno stile di vita corretto riduce in modo significativo la mortalità e la probabilità di eventi cardiocerebrovascolari, sia in prevenzione primaria che secondaria. In aggiunta, è scientificamente provato che l’esercizio fisico è in grado di ridurre l’incidenza di altre patologie, tra cui diabete, osteoporosi, depressione, tumore della mammella e tumore del colon. Giustamente l’esercizio fisico è stato definito una straordinaria terapia cardiovascolare, a bassissimo costo e con pochissimi effetti collaterali. Purtroppo, nonostante queste forti evidenze la sedentarietà rimane una diffusa abitudine nel mondo occidentale.

 

La sedentarietà: una piaga del terzo millennio

Dati recenti suggeriscono che il 31% della popolazione mondiale non soddisfa le raccomandazioni di minima per l’attività fisica. Anche in Italia, dati dell’istituto Superiore di Sanità e di registri di società di settore confermano che la popolazione adulta ha una scarsa attitudine alla regolare attività fisica: circa il 40% degli italiani adulti sono sedentari, con una prevalenza di inattività nel sesso femminile. Quadro ancor più allarmante, una indagine condotta in ambito scolastico documenta una inaccettabile prevalenza di sovrappeso e obesità nei bambini della scuola primaria, dovuta ad uno stile di vita scorretto nel quale gioca un ruolo primario la sedentarietà.

La necessità di contrastare l’inattività fisica a livello mondiale è amplificata dal rischio in termine di salute che conferisce. E’ stato infatti recentemente dimostrato che il 6-10% di tutti i decessi da malattie non trasmissibili in tutto il mondo possono essere attribuiti ad inattività fisica, e questa percentuale è ancora più alta per malattie specifiche (ad esempio, 30% per cardiopatia ischemica). Nel 2007, circa 5,5 milioni di decessi nel mondo da malattie non trasmissibili potevano teoricamente essere evitati se le persone che erano inattive fossero invece state sufficientemente attive.

 

Diffondere la cultura della regolare attività fisica.

Parlare di attività fisica non vuol dire parlare di sport in generale né di un particolare esercizio fisico. Vuol dire ricominciare (o continuare per chi non ha mai smesso) ad usare il corpo che abbiamo nel modo per cui è stato progettato, che è quello di camminare, correre a volte, ed essere fisicamente attivi in tutte le nostre esperienze quotidiane, cioè al lavoro, a casa, negli spostamenti da e per i luoghi che frequentiamo, o durante il tempo libero. E’ ampiamente noto che la sedentarietà è un fattore di rischio importante per morte e invalidità dalle malattie non trasmissibili in tutto il mondo industrializzatoma, a differenza di altri fattori di rischio di malattie non trasmissibili quali tabacco e alcol, l'importanza dell'attività fisica per antagonizzare la sedentarietà è stata solo marginalmente riconosciuta e non è stato finora correttamente approcciato il problema a livello di popolazione non solo nelle nazioni a basso o medio reddito ma anche in molti paesi occidentali, tra cui l’Italia. L’attività fisica è spesso percepita solo come strumento per controllare l'obesità e pertanto l’inattività è considerata come un fattore di rischio minore o secondaria. Inoltre è ben noto che i benefici dell'attività fisica sono di vasta portata e si estendono ben oltre la sola salute. Essere fisicamente attivi da un importante contributo al benessere fisico e mentale. Risultati positivi comprendono una migliore qualità della vita, miglioramento del sonno, riduzione dello stress fino a maggior socializzazione.

 

L’attività fisica va intesa come “naturale” farmaco cardiovascolare

Per molti anni i medici in generale ed i cardiologi in particolare sono stati fortemente influenzati da errate congetture secondo le quali andava raccomandato un prolungato riposo alla maggior parte dei loro pazienti. All’inizio degli anni ’80, un famoso studio dell'università di Harvard su 17.000 allievi seguiti dal 1916 al 1950 ha mostrato come la curva di rischio cardiovascolare diminuisca all'aumentare dell'esercizio fisico praticato fino ad avere un minimo con 6-8 ore settimanali; all'aumentare dell'attività fisica il rischio di morte torna leggermente a salire. Lo studio di Harvard è stato una pietra miliare perché ha convinto la classe medica che non solo è consigliabile fare attività fisica, ma è addirittura necessario. Di conseguenza negli ultimi decenni si è assistito ad una rivoluzione culturale ed una regolare attività fisica “moderata” viene ora prescritta non solo per la prevenzione della cardiopatia ischemica ma anche come componente fondamentale della terapia dopo infarto miocardico, angioplastica, bypass aorto-coronarico e addirittura scompenso cardiacocronico in fase di stabilità. Per tali ragioni, l’esercizio fisico si propone come mezzo preventivo e terapeutico fisiologico, economico ed efficace in numerose condizioni cliniche.

L’attività fisica ha effetti diretti ed indiretti sul sistema cardiovascolare: entrambi possono potenziare la capacità funzionale e ridurre la probabilità di eventi cardiovascolari.

I benefici indiretti includono la riduzione dei fattori di rischio, il rafforzamento della muscolatura scheletrica, e i cambiamenti su alcuni stili di vita scorretti, in particolare attraverso la riduzione dello stress.

I benefici diretti includono riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa a riposo e da sforzo, un potenziamento del tono venoso periferico, una espansione del volume plasmatico e un incremento della contrattilità cardiaca. E’ stato documentato anche un incremento del flusso coronarico e della soglia di induzione di fibrillazione atriale. La riduzione della frequenza cardiaca a riposo è forse l’effetto più evidente di una regolare attività fisica. I meccanismi che veicolano tale effetto sono l’aumento del tono parasimpatico e della gittata sistolica. Anche la pressione arteriosa a riposo e da sforzo si riducono dopo regolare attività fisica, per una riduzione del post carico che induce un aumento della frazione d’eiezione e della gittata sistolica. (Tabella)

 

Rapporto rischio/beneficio dell’attività fisica

Sulla base delle evidenze a favore, l’attività fisica sottomassimale viene attualmente proposta in tutti i programmi di prevenzione cardiovascolare, sia primaria che secondaria. In alcuni contesti è stato obiettato che, a fronte di effetti positivi, l’attività fisica può comportare anche alcuni rischi, in particolare a carico dell’apparato cardiovascolare, in quanto l’esercizio fisico se praticato ad elevata intensità può rappresentare il trigger di eventi acuti cardiovascolari, quali infarto miocardico, angina pectoris e morte improvvisa. Inoltre l’attività fisica, soprattutto se caratterizzata da un elevato impegno cardiovascolare, potenzialmente potrebbe essere responsabile di una evoluzione sfavorevole del quadro clinico di alcune cardiopatie (quali la cardiomiopatia ipertrofica, la displasia aritmogena del ventricolo destro e alcune valvulopatie) e di alcune patologie aritmiche (quali la fibrillazione atriale). Pertanto, ogni individuo adulto che si appresti ad iniziare una attività fisica ad intensità medio-elevata, tanto più se precedentemente sedentario, cardiopatico noto o con multipli fattori di rischio cardiovascolare, dovrebbe essere sottoposto preventivamente ad una attenta valutazione medica con la raccolta di alcuni semplici dati clinici (anamnesi, obiettività, ECG a riposo) ed eventuale approfondimento in casi selezionati (ecocardiogramma, test ergometrico) per verificare l’esistenza di cardiopatie clinicamente silenti nei soggetti apparentemente sani e stratificare il rischio associato alla pratica dell’attività fisica in caso di cardiopatia accertata. Va tuttavia fortemente ribadito che il livello minimo di attività fisica (efficace come strumento di salute cardiovascolare) raccomandato da tutte le società scientifiche e da tutte le Linee Guida (es. camminare a passo spedito 30 minuti al giorno 3/5 giorni a settimana) è di intensità tale da non richiedere nella stragrande maggioranza dei casi nessun approfondimento specifico rispetto a quanto già accertato sia in prevenzione primaria che secondaria.