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Pubblicato: 04/08/2020 da redazione



Il bisogno di salute, il virus e l'etica di comunità

Andrea Di Lenarda, direttore della Struttura complessa Cardiovascolare e Medicina dello Sport

Riportiamo integralmente l'articolo di Andrea Di Lenarda, direttore della Struttura complessa Cardiovascolare e Medicina dello Sport dell'Azienda sanitaria universitaria giuliano-isontina, pubblicato nei giorni scorsi su Il Piccolo, il quotidiano di Trieste.

Grazie al lavoro di tutti, dalla Regione Friuli Venezia Giulia all’Azienda sanitaria e a chi ha operato in prima linea, la guerra è stata vinta. Anche il New York Times lo ha riconosciuto, confrontando quanto fatto in Italia con lo sconsiderato modello americano. Ma se la grande paura sta passando (fin troppo rapidamente), ricordiamoci che il virus è in agguato, pronto a uscire allo scoperto e fare nuovi danni. Per questo preoccupano le troppe persone che non rispettano le precauzioni.


Ora il problema è quello dei danni indiretti della pandemia, non solo quelli sociali, economici, psicologici, ma anche sanitari. Nel periodo più critico, l’attività degli ospedali è stata polarizzata sul virus. Le urgenze sono state garantite ma, per diversi motivi (difficoltà di accesso, paura, riconversione dei reparti, e così via), la cura delle malattie acute e croniche si è ridotta di molto. In un attimo la mortalità dell’infarto è tornata quella degli albori della “Rete dell'Infarto” (la struttura organizzativa attiva da oltre 30 anni che trasporta i pazienti da casa all’Unità Coronarica nel minor tempo possibile per salvare il muscolo cardiaco infartuato).

Solo apparentemente meno grave la riduzione delle prestazioni ambulatoriali, nei numeri più drastica (riduzione di oltre il 50% dell’attività, chiusura di attività ritenute meno prioritarie). Ai pazienti, durante il lockdown, è poi successo di tutto. A parte lo stress psicologico, aumento di peso, peggioramento degli indici metabolici, perdita per strada di qualche farmaco, riduzione del controllo dei parametri biologici sono stati la regola.

Se il peggio è superato, adesso riprende tutto come prima? No di certo. Malgrado gli sforzi, la riorganizzazione delle strutture, l’assunzione di personale, la limitazione delle ferie, l'offerta sanitaria sarà quest’anno decurtata significativamente. Con le misure di sicurezza (distanziamento sociale, limitazione degli accessi, allungamento dei tempi delle prestazioni per permettere aerazione e sanificazione degli ambienti) il Centro Cardiovascolare dell’Ospedale Maggiore eseguirà quest’anno meno di 45 mila prestazioni invece delle solite 60-65 mila. Diverse migliaia di pazienti, solo per quanto riguarda la nostra struttura, non avranno risposta al loro bisogno di salute.

Questa situazione critica non è del tutto inevitabile. E' irragionevole pensare che nei prossimi mesi le prescrizioni di sicurezza cambieranno, perché il virus non scomparirà. Che fare allora? Quello che si fa di norma nei momenti di crisi, ottimizzare tutto quello che si può, tagliare gli sprechi. Ma in modo intelligente. In queste settimane è in corso la riorganizzazione dei nostri ospedali e del territorio per poter recuperare il tempo perso e fornire quante più prestazioni possibili ai cittadini. Basterà? Escluso che possa bastare. Senza alcuna responsabilità, visto che le prescrizioni di sicurezza devono essere mantenute.

Quest’anno le risorse disponibili sono limitate e quindi non sufficienti se la domanda non viene ridotta in ugual misura grazie a un miglioramento dell’appropriatezza delle prescrizioni. La destinazione poi delle risorse disponibili deve essere decisa con criteri specifici, equi ed obiettivi e non sulla semplice base di una lista d’attesa, o con una distribuzione trasversale, a pioggia.

Infine, come puo capitare a una famiglia oppure a una impresa in crisi di dover risparmiare o contenere gli sprechi, questo deve diventare il principio ispiratore nel periodo (speriamo breve) postpandemico (o post-bellico). Dobbiamo necessariamente contenere tutte le attività (visite, esami, interventi) a bassa priorità e dare la precedenza assoluta ai casi più complessi (per non doverci poi pentire).

La logica che ci deve guidare deve essere quella del “massimo beneficio per il maggior numero di persone”, cioé un'etica di comunità.