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Pubblicato: 29/01/2014 da



Vivere con la cardiopatia congenita

Riflessioni dall'Ambulatorio della cardiopatia congenita dell'adulto di Trieste, specializzato nelle cure di questa malattia.

Ci sono patologie invalidanti che affrontate con tempestività e con grande forza di volontà permettono comunque di vivere una vita più che dignitosa. Il caso di Lorenzo, un "nostro" paziente di 28 anni affetto dalla sindrome di Marfan, una malformazione congenita del tessuto connettivo con importanti implicazioni sul sistema scheletrico, sulla colonna vertebrale, gli occhi e soprattutto sul cuore, è emblematico.

“Quando il cardiologo mi ha chiesto se fossi disposto a scrivere un articolo sulle mie esperienze di paziente con una patologia cardiologica grave e congenita - racconta Lorenzo - ho accettato volentieri, ma mi sono presto reso conto che farle rientrare tutte in poche righe è impossibile. Ho scelto quindi di raccontare quello che a mio avviso è l’aspetto più significativo della mia storia cardiologica: l’impianto della valvola meccanica”.

Prosegue Lorenzo: “All’età di 19 anni, mi accorsi che mi stancavo molto facilmente. I medici mi dissero che era arrivato il momento di intervenire chirurgicamente perché le valvole del ventricolo sinistro non erano più in grado di chiudersi in modo soddisfacente. Sebbene sapessi già da anni che sarebbe arrivato questo momento, la cosa ovviamente non mi entusiasmò: a chi piace finire sotto i ferri? Figuriamoci poi per un intervento a cuore aperto, che ha la lista di cause di morte più lunga che esista... Tuttavia la vera preoccupazione non era data dall’intervento in se stesso, quanto dalla modalità proposta per risolvere il problema. In realtà non c’era una vera scelta: l’unica alternativa possibile all’impiego di un tubo artificiale con una valvola meccanica era l’utilizzo di un homograft biologico; peccato che quest’ultimo abbia una durata limitata e vada poi sostituito nel corso degli anni. Avrei quindi dovuto sottopormi successivamente ad altri interventi, ipotesi questa per nulla gradevole... La valvola meccanica invece è “eterna”, nel senso che è progettata per durare più dell’aspettativa di vita di una persona, ma a sua volta presenta un problema: può generare dei trombi e degli emboli perché il sangue tende a coagularsi sulla valvola stessa. È pertanto necessario prendere dei farmaci anticoagulanti per tutta la vita, aspetto questo oltremodo rischioso e preoccupante in vista dei più che probabili – per non dire sicuri – interventi successivi. Se infatti con questa operazione era possibile risolvere per sempre i problemi cardiaci, le probabilità di futuri interventi agli occhi erano elevatissime. Come venirne fuori? I chirurghi non possono operare se il paziente è scoagulato perché altrimenti gli creano un emorragia; dall’altro lato però non si possono sospendere gli anticoagulanti perché altrimenti compaiono gli emboli”.

Ricorda Lorenzo: “Mi spiegarono che questa è un’impasse apparente perché gli emboli impiegano un certo tempo a formarsi, quindi è possibile rimanere a coagulazione normale per un breve periodo, quello sufficiente per l’intervento. La spiegazione fu tranquillizzante, quello che accadde no. Alcuni giorni dopo l’operazione, mentre pranzavo cominciò a informicolarsi la mano destra, come quando di notte la si schiaccia inavvertitamente. Inizialmente la cosa mi sembrò semplicemente strana visto che non stavo schiacciando il braccio da nessuna parte, poi quando il formicolio comparve anche sul viso iniziai a preoccuparmi. I medici esclusero che potesse trattarsi di emboli perché ero scoagulato, ritenendo che il problema fosse quindi di natura neurologica. Il neurologo però, dopo aver fatto tutti gli accertamenti, escluse anche questa eventualità, così tra i cardiologi riprese forza l’idea che la parestesia – cioè il formicolio – fosse dovuta a dei microemboli, ovvero sia ad emboli abbastanza piccoli per essere sciolti dall’organismo, ma che comunque rappresentavano un problema”.
“Vi lascio immaginare lo stato d’animo col quale ho affrontato il primo intervento successivo all’operazione ‘a cuore aperto’, dovendo sospendere gli anticoagulanti e sapendo che i microemboli potevano comparire anche da scoagulato. In verità non accadde nulla di preoccupante, tutto andò per il verso giusto, anche perché altrimenti non sarei qui a raccontarvelo…”.

Ma allora i microemboli del gennaio 2005? “Mi dissero che probabilmente si erano creati dopo il primo intervento a causa delle particolari condizioni del cuore, ancora molto grande e con diversi tagli che si stavano rimarginando; spiegazione più che plausibile dal momento che negli interventi successivi l’interruzione degli anticoagulanti non diede problemi di sorta, anche quando fu superiore alle 24 ore”.
Insomma, pensare di avere una ‘fabbrica di emboli’ nel petto può essere psicologicamente difficile da accettare, soprattutto se si hanno dei sintomi specifici. “Tuttavia – precisa Lorenzo – è bene non preoccuparsi troppo ed avere fiducia nella scienza medica e in coloro che la padroneggiano per salvarci la vita. Certo, nessuno è infallibile ed anche i medici possono sbagliare, per questo è opportuno avere coscienza della propria situazione in modo da accorgersi di eventuali errori”.

Le riflessioni di Lorenzo ci introducono nel mondo della cardiopatia congenita dell’adulto che è uno degli ambiti della cardiologia moderna di cui si parla meno. Per capirne di più bisogna pensare che tra il 1960 e la prima metà degli anni ‘70 sono nati circa 100.000 bambini affetti da una cardiopatia congenita e che solo il 10% circa è sopravvissuto. Per fortuna, nei decenni seguenti e grazie al miglioramento diagnostico e terapeutico, la gran parte dei pazienti ha potuto superare indenne il periodo neonatale, crescere, frequentare una scuola, avere una occupazione e generare dei figli. Una buona percentuale però, nonostante la correzione chirurgica della malformazione, continua ad avere necessità di assistenza medica ed in certi casi di un’ulteriore operazione chirurgica. Da un punto di vista medico, è necessaria quindi una profonda conoscenza dei quadri anatomo-funzionali della patologia nativa e di quelli prodotti dalla correzione chirurgica.
In Friuli Venezia Giulia sono stimati 1.400 portatori di cardiopatia congenita; tuttavia, in seguito agli importanti flussi migratori, l’entità del problema ha dimensioni maggiori. A Trieste presso il Centro Cardiovascolare dell’ASS1 è nato l’Ambulatorio della cardiopatia congenita dell’adulto. Un team di cardiologi ed infermieri si alterna nella gestione facendo da collante con altre figure specialistiche: cardiologo pediatra (in primis) ed altri operatori medici (medico di medicina generale, internista, ginecologo, chirurgo generale, odontoiatra) e non medici (assistenti sociali, psicologo, commissari addetti alla definizione dell’idoneità fisica per motivi lavorativi, sportivi, previdenziali), che operano nel territorio ed ai quali questi pazienti si rivolgono nella loro quotidianità. Nell’Ambulatorio non solo si costruisce un percorso clinico e strumentale specifico ma si cerca altresì di dare risposte alle molteplici esigenze dei pazienti, talvolta non prettamente cardiologiche (gravidanza, sport, viaggi…).

Insomma, vivere con una cardiopatia congenita è una sfida per i pazienti e per gli operatori sanitari. Un’adeguata rete assistenziale garantisce standard di cura elevati.